Una risposta alla provocazione

 

Una risposta alla provocazione "Lamento di un matematico" di Paul Lockart

 

di Maria Giuseppina Bartolini

 

"Segnate tutte le teste che hanno una decisa
inclinazione solo per la matematica, vedrete
come sono solitarie, inadatte a vivere con gli
altri e incapaci di servire il mondo".

Roger Ascham (1515-1568)

 

Ho letto con interesse, piacere e sgomento il lamento di Lockart. Interesse perchè è sempre utile ascoltare chi mette passione nelle sue argomentazioni, piacere perché troppo spesso la scuola crea un cattivo rapporto tra gli studenti e la matematica, sgomento perché nelle parole di Lockart è nascosta una deriva pericolosa. In questa risposta tratterò soprattutto quest'ultimo punto. Il dilemma tra matematica bella e matematica utile è antico come le fonti che abbiamo a disposizione. Si racconta, con una certa semplificazione, che il modello di razionalità greca a cui sia gli Europei che gli abitanti del nuovo mondo si ispirano ha posto la pratica e i suoi scopi ad un livello più basso della teoria. Si dimentica di citare che civiltà lontane (in oriente) hanno costruito sistemi di valori diversi e altrettanto rispettabili, tenendo insieme teoria e pratica. Alcuni (occidentali) come Hardy, citato anche dal nostro autore, hanno fatto un elogio della matematica inutile, della matematica pura, della matematica bella (secondo un criterio estetico che sicuramente sfugge alla persona comune). Anch'io all'università ero stata educata così: non mi è estraneo l'entusiasmo della scoperta e del momento in cui, improvvisamente, i frammenti di un ragionamento si compongono a costruire una "bella" dimostrazione, sicuramente nuova per l'autore, forse nuova per la comunità scientifica. La mia prospettiva è un po' cambiata. Da vari anni sono istituzionalmente un formatore di insegnanti, degli insegnanti dei più piccoli (scuola dell'infanzia e scuola primaria), e devo e voglio interrogarmi su ciò che può essere utile e necessario per il bambino di oggi che diventerà l'adulto di domani. La prospettiva diventa quindi più ampia e trascende il piacere individuale. Se i nostri quindicenni fossero abili solutori di problemi di matematizzazione (ricorso a modelli matematici per risolvere problemi anche generati in altri campi di esperienza) potrei anche dire "bene, dai quindici anni in su, solo matematica bella, creativa, nessuna cosa noiosa (come risolvere equazioni o fare calcoli!); corsi di scoperta matematica, opzionali, per chi si sente portato con entusiasmo a scegliere la matematica come un'arte, come un hobby da praticare nel resto della sua vita". Ma la premessa del mio ragionamento non è valida. I nostri quindicenni si collocano abbondantemente sotto la media dei paesi OCSE nella recente indagine OCSE PISA, che è da mesi sui giornali. E quindi posso ritenere che non dominino quella parte strumentale della matematica che può aiutarli a non essere imbrogliati dai giornali, a prevedere l'ordine di grandezza del risultato di un'operazione, e così via. Non posso rinunciare alla matematica utile. Ma, siamo certi che la matematica utile sia sempre matematica brutta? Potrei citare molti esempi, per piccoli e per grandi, dove bellezza e utilità vanno a braccetto. E poi, la creatività. Su questo credo che ci voglia davvero più cautela. Non sappiamo ancora dire dove sta la creatività, come si forma, come si allena, come si incoraggia. Esiste la creatività naturale? In quante persone? Un grande psicologo del passato diceva che l'attività creatrice del cervello si appoggia alla memoria, combinando e rielaborando le tracce già esistenti in modo nuovo (si leggano i primi capitoli di Immaginazione e creatività nell'età infantile di L. S. Vygotskij). Difficilmente potrò essere creativa in un certo campo se la mia memoria non ha costruito tracce profonde e rievocabili sulle proprietà degli oggetti che lo abitano. Non riconoscerò una figura se non l'ho mai analizzata con sufficiente attenzione. Anche l'esempio della pittura - usato in un altro modo dal nostro autore - ci aiuta. I grandi pittori hanno costruito le novità creative sopra il superamento di stili consolidati, che potevano rifiutare solo perché li conoscevano. Solo un'esigua minoranza di pittori naif ha sviluppato in modo autonomo una grande capacità espressiva senza appoggiarsi su un'educazione specifica. Ma la nostra è una scuola di massa, non una scuola per pochi eletti.

Ultimo punto: è sgradevole pensare alla matematica come divertimento in un mondo bello e non necessariamente utile alla società. Molti matematici oggi rivendicano il loro diritto-dovere di uscire dalla torre d'avorio. Altri, come il nostro autore, vorrebbero tornarci dentro e portarci anche la scuola. Studi sulle personalità degli scienziati sottolineano questa tendenza all'isolamento particolarmente presente negli scienziati più 'teorici' (si veda la rassegna di A. Curis e F. Perussia su Tipi da laboratorio, nel numero 4 dell'anno 73° della rivista Sapere), con atteggiamenti che contengono perfino tratti di autismo. Lockhart sembra avviato su questa china: Meglio non avere alcun corso di matematica piuttosto che fare quello che si fa oggi. Almeno alcune persone potrebbero avere la fortuna di imparare da sole qualcosa di bello! E' questo il mondo che vogliamo? Individui isolati che giocano alla matematica? Io no di certo. In sintesi, e in positivo, non esiste un solo modo di insegnare e di apprendere la matematica, neppure se questo è il modo creativo di cercare sempre nuove vie. Credo che un buon insegnante debba fare propria e rendere credibile agli studenti questa verità. A scuola, ci sono momenti memorabili in cui si dà spazio alla creatività ma anche momenti in cui con fatica si costruiscono e si consolidano meccanismi, perché senza un sicuro dominio di questi sarà difficile essere creativi. Ci sono momenti in cui la matematica è uno strumento per comprendere il mondo e altri in cui è un'affascinante avventura dell'immaginazione. Accettare che apprendere è anche faticoso e non solo entusiasmante e divertente è un modo per prepararsi ad assumere le proprie responsabilità in una società civile.

 

Mariolina Bartolini Bussi
Professore ordinario di Didattica della Matematica
Facoltà di scienze della Formazione
Università di Modena e Reggio Emilia
bartolini@unimore.it