Lockhart e gli Elementi di Euclide

 

Lockhart e gli Elementi di Euclide

 

di Massimo Galuzzi, Daniela Rovelli

 

L'articolo di Lockhart consiste in una lunga lamentazione sullo stato dell'insegnamento della matematica in ogni ordine di scuola ed in ogni paese. Si tratta di argomentazioni molto generali, e spesso generiche, indebolite dal fatto che non risulta quasi mai chiaro come il sostantivo “matematica”, o l'aggettivo “matematico”, vengano intesi.

Inoltre l'accostamento della matematica alla musica, alla pittura, ecc. non supera il livello degli abituali luoghi comuni secondo i quali la produzione artistica, libera e gioiosa, o, alternativamente, accompagnata da terribili tormenti esistenziali, è intrinsecamente in grado di ottenere ogni necessaria acquisizione tecnica come una sorta di corollario della creatività.

L'autore propone molte “definizioni” della matematica: “La matematica è un'arte"; “...proprio in questo consiste la matematica: porre delle domande, giocare, divertirsi con la propria immaginazione"; “La matematica è l'arte della spiegazione", “La matematica dovrebbe essere insegnata come arte per l'arte", “La matematica non è un linguaggio è un'avventura", ecc.

Il fatto che la matematica sia una scienza, che, in quanto tale, può essere utile, o distruttiva, è per l'autore un aspetto marginale in confronto alla sua valenza artistica. Ma la matematica può servire a costruire un ponte che colleghi le due sponde di un fiume; oppure a costruire un missile che distrugga il ponte stesso. Subordinare totalmente queste potenzialità alla dimensione artistica non può che lasciare perplessi. Inoltre l'opposizione tra “utile” e “bello” sembra molto ingenua. Il design industriale offre innumerevoli esempi di oggetti la cui bellezza è intrinsecamente legata alla totale adeguatezza allo scopo per il quale vengono ideati. Uno dei più noti algoritmi della matematica, quello della Trasformata Rapida di Fourier (nella versione originale di Cooley e Tukey, ad esempio), riceve la sua profonda bellezza anche, e forse soprattutto, dalla straordinaria potenzialità per le applicazioni che viene colta immediatamente non appena si comprende la struttura dell'algoritmo.

Per superare il livello delle generalità, consideriamo comunque l'esempio fondamentale fornito dall'autore: una dimostrazione alternativa del teorema secondo il quale tutti triangoli iscritti in un semicerchio sono rettangoli. Dapprima l'autore propone una dimostrazione (lievemente modificata ed imbruttita) della prima parte della III.31 degli Elementi, giudicandola “confusa e illeggibile". Poi propone una dimostrazione ottenuta da un suo studente, mediante la rotazione “per metà attorno al cerchio" del triangolo stesso. Lo studente è certamente matematicamente dotato, ma la ragione per la quale la rotazione del triangolo sia preferibile a tracciare il raggio che congiunge il centro del semicerchio con il vertice dell'angolo retto risulta oscura. Se poi, come l'autore sostiene, si vuole anche che l'insegnamento abbia una valenza storica, con il dovuto rispetto ad Euclide, Archimede, ecc., si deve osservare che l'idea della rotazione del triangolo è totalmente incongrua con la struttura dimostrativa degli Elementi.

Non si comprende poi perché, un segmento tracciato opportunamente per esibire l'area di un triangolo sia celebrato come un “atto creativo” all'inizio dell'articolo, mentre nel caso del triangolo inscritto in un semicerchio un'operazione del tutto analoga debba condurre verso la confusione totale.

In generale l'attitudine dell'autore verso l'insegnamento sembra consistere nel suggerire opportunamente agli studenti l'ottenimento di singoli risultati come “atti creativi" individuali, debolmente dipendenti da un contesto dimostrativo precedente.

In conclusione, questa specie di celebrazione del problem-solving ridotto ai minimi termini, che dovrebbe “miracolosamente' produrre quel contesto teoretico senza il quale la matematica perde ogni senso, non sembra offrire la miglior soluzione per risolvere tutti i problemi dell'insegnamento.