LTI. La lingua del Terzo Reich
Victor Klemperer
LTI. La lingua del Terzo Reich.
Taccuino di un filologo
Giuntina, Firenze 2011
pp. 355, euro 20.00
Spesso ci ripetiamo che se un libro, un’espressione, una teoria sono ricchi e rofondi, allora sono molti – e di competenze diverse – coloro che ne possono trarre sensazioni, stimoli e suggerimenti.
Il libro di Klemperer di cui parliamo qui è uno di questi oggetti multiformi che si prestano a offrire svariati spunti di riflessione, aprendo molte finestre sul mondo.
Per un verso, la descrizione del ruolo che il linguaggio ha giocato nella ostruzione del regime nazista è già abbastanza significativa di per sé senza che ci sia bisogno di trovare altri pretesti per leggerla. E su questo numero di XlaTangente ne discute già Paola Gallo alle pagine 40-41.
Ma, per un altro, se, come me, siete un docente che diventa un po’ triste quando vede le avventure intellettuali che hanno segnato la storia della matematica nascoste in fredde ricette per risolvere problemi di budget o di misura di campi, potrete trovare molto utili alcune delle osservazioni sulla nostra maniera di “parlare” di matematica che la lettura di LTI suggerisce con qualche chiarezza. In effetti, spesso, almeno due caratteristiche della lingua LTI sembrano segnare anche la comunicazione della matematica: l’eroismo e la povertà.
Per il primo, tutte le volte che per pigrizia intellettuale ci nascondiamo dietro a “È facile dimostrare che...” mentre ci vogliono dieci passaggi brillanti per farlo, stiamo dicendo che bisogna essere “speciali” per fare quello che invece un po’ d’abitudine a dimostrare rende davvero... facile. E in questo modo ridiamo fiato a quel luogo comune che a parole cerchiamo di negare e secondo il quale a scuola “ci vuole il pallino” per combinare qualcosa di buono in matematica, ossia bisogna essere eroi (nel senso di “essere sopra le righe della normalità”) per capire un po’ di matematica diversa da quella delle tabelline.
Per la seconda, tutte le volte che irrigidiamo il linguaggio con cui raccontiamo qualcosa di matematico nella gabbia di un presunto necessario rigore, sacrificando sull’altare della correttezza formale la possibilità di essere capiti anche da qualcuno in più di “quelli con il pallino”, ci neghiamo anche la possibilità di lasciar loro intuire le avventure strabilianti di intelligenza che stanno sotto ai risultati di cui parliamo: troppo povero il linguaggio per non costringerci a dare soltanto un resoconto buono per una qualunque rivista tecnica. Ma forse i nostri studenti ci amerebbero un po’ meno corretti e meno poveri, oltre che un po’ più immaginifici... E forse, se ci avventurassimo al di fuori del recinto sicuro del linguaggio normale, potremmo anche consentire ai nostri studenti di confrontarsi con la scienza che stiamo insegnando loro. Domande come: a che serve? Si tratta solo di un gioco dell’intelligenza o anche di uno strumento a disposizione della specie umana per intervenire nel mondo “reale”? perché dovrebbe riguardare anche coloro che non la amano?
Fare il ricercatore in matematica può rappresentare una bella maniera per evitare di riflettere sulla responsabilità che ogni scienziato ha, in quanto scienziato, nei confronti della società? sono domande che molti dei nostri allievi si porrebbero se li aiutassimo con un linguaggio un po’ meno misero di quello che spesso usiamo.
Gabriella Lupini