Tra matematica e fisica… nel Medioevo (parte II)

 

Il problema dello spazio vuoto, oltre che da Nicola d’Oresme, viene affrontato anche da un altro grande esponente della scuola parigina, Giovanni Buridano. La sua analisi parte da un esperimento mentale suggerito da Nicola: che cosa succederebbe se Dio annichilisse tutto ciò che esiste sotto la Luna?

Per Nicola, avremmo una sfera vuota con raggio la distanza Terra-Luna, il cui valore sarebbe la metà della distanza fra due punti antipodali della sfera. Buridano, invece, osserva che in questo modo si confonderebbero tra di loro i concetti di "vuoto" e di "spazio": se rimanesse lo spazio, vorrebbe dire che l’esperimento mentale sarebbe in qualche modo fallito, in quanto Dio, continuando ad esistere lo spazio, non avrebbe annichilito proprio tutto. Per Buridano, sotto la Luna non c’è un vuoto che occupa la cavità sferica che si viene a formare, ma è l’interno di tale sfera ad essere vuoto. Sembra un gioco di parole, che vede il termine "vuoto" come un sostantivo o un aggettivo.

Buridano critica anche il fatto che si possa parlare di distanza tra due antipodi di questa sfera vuota: secondo lui, infatti, la distanza è una caratteristica fisica di un ente concreto; in particolare è la lunghezza di un oggetto (o di una sua parte). Avendo uno spazio vuoto, vale a dire uno spazio privo di oggetti materiali, non si può parlare di distanza. Quest’idea di Buridano ci sorprende e ci fa riflettere, visto che una definizione classica di metro prevede la distanza tra due tacche incise su una barra conservata a Sèvres, e le misure, dirette o indirette, di distanza vengono ricondotte - in ultima analisi - a un confronto con un regolo.

Un secondo esperimento mentale di Nicola ci permette di apprezzare ulteriormente il suo sforzo di affermare l’esistenza di uno spazio indipendente dalla materia. In questo caso ci chiede di pensare a una pietra. Classicamente, il luogo della pietra era individuato dalla superficie interna della materia che la circonda. Supponiamo ora che tutta la materia circostante sia annichilita. La pietra si troverebbe nello stesso luogo? Non essendoci più la superficie interna della materia circostante, non dovremmo essere in grado di localizzare la pietra. Nicola afferma, invece, che la pietra continuerebbe a essere sempre nello stesso luogo. Si fa così strada l’idea, che verrà continuamente raffinata in seguito, di uno spazio immaginato (spatium imaginatum) che esiste indipendentemente dalla materia che lo occupa.

Questo spazio vuoto, in un contesto cristiano come quello della Scolastica, potrebbe essere identificato con il vuoto nel quale è stata creata la materia da Dio ex nihilo. Questa idea di Nicola, a parte le critiche di tipo prettamente religioso, fu osteggiata da altri filosofi della natura. Per Alberto Magno e Ruggero Bacone, lo spazio fa parte del creato, quindi anch’esso è stato creato da Dio insieme alla materia. Anche per Buridano, l’esistenza dello spazio non era un prerequisito necessario per la creazione della materia.

Per chiarire le sue idee sullo spazio, Nicola sviluppa la teoria dell’essere. Un ente classicamente è definito e caratterizzato attraverso una descrizione effettuata con sostantivi e aggettivi che possono riguardare la sua essenza oppure i suoi accidenti. L’essenza riguarda le caratteristiche irrinunciabili (ad esempio, un uomo deve essere nato con un cuore funzionante), mentre gli accidenti sono caratteristiche che potrebbero essere diverse (ad esempio, un uomo può essere biondo, ma può benissimo essere anche moro). Essenza e accidenti dipendono dal contesto, per cui "biondo" è accidente di "uomo" mentre è essenza di "uomo biondo".

L’analisi di Nicola mostra come "spazio" possa essere difficilmente caratterizzato con sostantivi e aggettivi. Lo spazio, come il vuoto che rimarrebbe togliendo la materia in esso contenuto, non è descrivibile nella sua essenza o nei suoi accidenti. Nicola introduce quindi una nuova categoria di enti: quelli descrivibili con avverbi. Lo spazio e il tempo sono enti di questo tipo, perché non hanno una sostanza con essenza o accidenti, ma non sono neanche enti assoluti. Lo spazio, infatti, può essere caratterizzato con avverbi come "qui" e "là", così come il tempo con avverbi come "ora", "adesso", "poi", "prima" ecc.
[continua…]

Leonardo Gariboldi