Tra matematica e fisica… nel Medioevo (parte III)

 

Dato che lo spazio è caratterizzato da avverbi di luogo, il fatto di trovarsi in un certo luogo vuol dire "essere nella condizione di trovarsi qui (o là)". Quando un corpo si trova in un luogo, questa è una sua condizione, e non una caratteristica (un accidente) in quanto "corpo".

Quando un corpo si muove, esso si trova successivamente in luoghi diversi. Nicola osserva che il "trovarsi qui" non dipende dal movimento: infatti, ognuno di noi dice sempre di sé "io sono qui" anche quando corre; alla domanda "dove sei?" non possiamo far altro che rispondere sempre "io sono qui" anche se il "qui" cambia rispetto allo spazio. Nicola d’Oresme afferma che quando un corpo si muove, il "trovarsi qui" segue il corpo, mentre lo spazio non si muove con il corpo. Questa è un’idea nuova in Occidente (era già stata avanzata nell’Impero Romano d’Oriente, ma senza che fosse comunemente accettata dai filosofi della natura): lo spazio non si muove. Distinguendo il luogo (che si muove con il corpo) dallo spazio (che è fermo), Nicola afferma l’immobilità dello spazio, in contrasto con l’antica idea di Aristotele che, identificando il luogo con lo spazio, ne doveva affermare la mobilità.

Aristotele, infatti, identificando un corpo con lo spazio che occupa, riteneva che lo spazio si muovesse trascinato dal corpo in moto. L’esempio che fa è quello di una bottiglia piena di vino: quando la bottiglia viene spostata dalla dispensa alla tavola, anche il vino in essa contenuto si sposta, trascinato dalla bottiglia, dalla dispensa alla tavola.

Nicola preferisce una teoria che distingua lo spazio dal luogo anche perché ritiene che una tale teoria sia più semplice. Questa è un’idea molto interessante in filosofia della scienza: date due teorie che descrivono con successo uno stesso insieme di fenomeni, quale scelgo? Non ci sono particolari motivi per scegliere quella più semplice, però la storia ci insegna che più volte, nel corso dei secoli, gli scienziati hanno sottolineato proprio quest’aspetto per giustificare la loro convinzione della verità di una teoria piuttosto che di un’altra concorrente.

Tuttavia, sebbene alcuni filosofi della natura dell’epoca avessero apprezzato la semplicità delle idee di Nicola d’Oresme, essi preferirono comunque continuare a sostenere la posizione di Aristotele. Dobbiamo attendere il primo Cinquecento, a partire da Pico della Mirandola, perché le idee di Nicola d’Oresme sullo spazio e il luogo ritornino a essere dibattute guadagnando consenso. Le discussioni sullo spazio s’intrecciano alla questione copernicana e alla formulazione della nuova meccanica (la meccanica "classica" o newtoniana), e si trovano posizioni di tipo aristotelico (come quella di Cartesio) e altre di tipo oresmiano (come quella di Giordano Bruno). Nel trattato fondativo della nuova meccanica, i Philosophiae naturalis principia mathematica di Newton, troviamo, proprio nelle prime pagine, un’analisi dello spazio, del tempo e del movimento.

A differenza di Nicola, Newton ritiene che lo spazio assoluto sia una realtà fisica, che esiste davvero, ma in un modo tutto suo (non è né sostanza né accidente). Lo spazio assoluto non può essere il nulla (il non-esistente) perché ha delle proprietà: lo spazio è eterno, infinito, uniforme, immobile.

La storia dell’idea di spazio continua dopo Newton per arrivare alle nuove idee di Einstein e delle cosmologie novecentesche. Il contributo dato a questa storia da Nicola d’Oresme ci mostra come anche la Scolastica sia stato un periodo ricco di discussioni affascinanti su questo tema. Lasceremo ora tali discussioni per procedere con l’analisi che Nicola fa del cosmo.

Prima però, richiamiamo i risultati principali di Nicola che abbiamo visto finora:

1 – il luogo di un corpo è lo spazio che rimane vuoto se se ne toglie il corpo;

2 – lo spazio esiste indipendentemente dalla materia;

3 – lo spazio non è caratterizzabile con sostantivi e aggettivi ma con avverbi come "qui" e "là";

4 – lo spazio è immobile.

Leonardo Gariboldi