Dal monocordo agli intervalli musicali

 

La matematica delle scale musicali - parte 1
Dal monocordo agli intervalli musicali

 

 

Prendete una corda, e fissatene le estremità a due ponticelli posti sopra una cassa armonica. Sistemate, tra i due, un terzo ponticello, che possa essere spostato in una qualsiasi posizione intermedia. Pizzicate ora la corda, e otterrete un suono di una certa altezza. Spostate il ponticello mobile in modo da accorciare la porzione di corda pizzicata: la nota emessa risulterà più acuta.

 

Quello che state suonando è un monocordo, simile a quello che Pitagora utilizzò per le sue ricerche di teoria musicale. Il filosofo di Samo studiò a fondo la relazione tra la lunghezza della corda e l'altezza del suono prodotto. Non soltanto si accorse che le corde più lunghe producono note che vengono percepite come più gravi, ma scoprì anche che dietro questa elementare constatazione si celavano questioni matematiche più interessanti.

 

 

Immaginate di avere un certo numero di corde tutte lunghe un metro, e di etichettarle con il numero 1. Ora, dividiamo una di queste corde in 2 parti, e associamo ciascuna parte (ovviamente lunga mezzo metro) al numero 2. Prendiamo un'altra delle corde da un metro, e questa volta dividiamola in 3 parti: ogni parte sarà contrassegnata con il numero 3. Procedendo in questo modo, possiamo preparare corde etichettate con i numeri 4, 5, e così via. Pitagora scoprì che la grandezza del numero assegnato a ogni corda esprime, per così dire, la sensazione di altezza della nota che la corda è in grado di generare.

 

Ai tempi di Pitagora non si parlava certo di frequenza dei suoni, ma oggi possiamo precisare l’affermazione precedente affermando che il numero attribuito alle corde è proporzionale alla frequenza del suono emesso. Per esempio la corda numero 2, quella da mezzo metro, ha una frequenza doppia rispetto a quella numero 1, da un metro.

 

Ma il matematico greco non si fermò qui. Considerò due corde corrispondenti a numeri tra loro legati da un rapporto semplice (per esempio 2:1, oppure 3:2), e si rese conto che i due suoni generati sembravano fondersi in un insieme gradevole e armonioso. Al contrario, una coppia di corde associata a un rapporto numerico più complicato, ovvero costituito da numeri più grandi, producevano una combinazione sonora poco piacevole all'orecchio. Nel caso 2:1 (due corde l'una lunga il doppio dell'altra) le due note apparivano talmente consonanti da risultare “simili”, o, per così dire, la “stessa” nota.

 

Per questo motivo si conviene di indicare le due note “uguali” con lo stesso nome: per esempio, due “la”. Naturalmente non si tratta del medesimo “la”: se volessimo suonare queste due note sulla tastiera di un pianoforte dovremmo premere due tasti diversi, separati da un intervallo chiamato “ottava”. Passando dall'estremo inferiore all'estremo superiore dell'intervallo la frequenza sonora raddoppia: per esempio si passa da 220 a 440 hertz. Anche una coppia di note associate a un rapporto 3:2 “suonano bene insieme”: secondo la visione pitagorica, il motivo è sempre che il rapporto aritmetico è semplice, cioè numeratore e denominatore della frazione sono numeri “piccoli”. Per generare questa coppia di suoni possiamo utilizzare una corda lunga mezzo metro e una lunga un terzo di metro. In questo caso le note non vengono avvertite come “la stessa nota”, ma all'ascolto si percepisce comunque un senso di consonanza. L'intervallo associato viene questa volta chiamato “quinta”.

 

Gli intervalli di ottava e di quinta bastarono a Pitagora per costruire la sua scala musicale. Nel prossimo articolo di questa serie scopriremo come il matematico greco lavorò per edificare la struttura, e vedremo in seguito come i suoi sforzi rappresentarono l'inizio di una lunga storia di successivi perfezionamenti.

 

Paolo Alessandrini

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