La matematica delle scale musicali (parte V)

 
La matematica delle scale musicali - parte V

Zarlino e la scala naturale

 

Gioseffo Zarlino, immagine da Wikimedia commons

 

Possiamo considerare “naturale” la scala pitagorica? Da un certo punto di vista sì: associando gli intervalli di quinta e di ottava ai rapporti semplici di 3:2 e 2:1, Pitagora riuscì a far suonare questi intervalli come “consonanti”, e più in generale a edificare una sequenza di suoni costituita da due soli tipi di intervalli elementari: la “limma”, connessa al rapporto 256:243, e il "tono", legato al rapporto 9:8. Prendendo ad esempio la scala di do, troviamo la limma tra mi e fa e tra si e do, e il tono negli altri intervalli tra note contigue.

Semplice (e naturale), vero? Apparentemente sì, ma non mancavano i risvolti “innaturali”. Come abbiamo visto nella quarta uscita di questa serie di articoli, tono e limma risultavano incommensurabili tra di loro: ciò rendeva impossibile chiudere il cerchio delle quinte e far coincidere i diesis con i bemolle, procurando notevoli grattacapi ai costruttori di strumenti e agli esecutori. Non solo: se quinte e ottave pitagoriche erano consonanti, altrettanto non si poteva dire per gli intervalli di terza e di sesta: corrispondendo a rapporti non semplici (rispettivamente 81:64 e 27:16), suonavano infatti come lievemente dissonanti.

I rapporti 81:64 e 27:16 sono molto vicini ai rapporti semplici 5:4 e 5:3: perché, allora, non usare questi ultimi? In effetti è lecito supporre che, per superare le dissonanze della scala pitagorica, gli strumentisti e i cantori dei primi secoli dell’era cristiana avessero progressivamente preso ad intonare le note in modo nuovo, associando istintivamente le terze e le seste ai rapporti semplici 5:4 e 5:3. Era solo questione di tempo arrivare alla formalizzazione teorica di una innovazione che i musicisti avevano ormai imposto nella pratica musicale.

Per la verità, l’idea di usare rapporti semplici anche per le terze e per le seste era circolata già nell’antichità, grazie al tarantino Archita, uomo poliedrico che visse un secolo e mezzo dopo Pitagora e si distinse nella matematica, nella fisica, nella filosofia e nella politica, e a Claudio Tolomeo, vissuto ad Alessandria d’Egitto nel secondo secolo dopo Cristo e considerato uno dei padri della geografia e uno dei massimi esponenti dell’astronomia antica.

La novità fu ufficializzata nel 1558, grazie al teorico musicale veneziano Gioseffo Zarlino, che nel trattato "Le istituzioni harmoniche" propose una scala “naturale” basata sulle seguenti associazioni tra intervalli e rapporti semplici di frequenza:

  • terza: 5:4 (anziché 81:64)

  • quarta: 4:3

  • quinta: 3:2

  • sesta: 5:3 (anziché 27:16)

  • ottava: 2:1

In pratica Zarlino suggeriva di suddividere la famosa corda non più soltanto in due, tre o quattro parti, come aveva fatto Pitagora, ma anche in cinque. Per completare la scala diatonica naturale, cioè quella formata dai sette suoni base, si doveva stabilire anche l’intervallo di seconda, ad esempio tra do e re, e quello di settima, ad esempio tra do e si. Per il primo, Zarlino decise di confermare il rapporto pitagorico di 9:8, ancora abbastanza “semplice” dal punto di vista numerico. Per il secondo, invece, decise di sommare l’intervallo di quinta (3:2) con quello di terza (5:4), ottenendo (3:2) * (5:4) = 15:8 (attenzione: essendo gli intervalli espressi come rapporti, dobbiamo moltiplicare i rapporti per calcolare la somma dei corrispondenti intervalli). Ancora una volta Zarlino guadagnò in semplicità, perché nella scala del filosofo di Samo c’era un ben più complicato rapporto di 243:128.

Ecco la scala naturale che uscì (in rosso sono evidenziate le differenze rispetto alla scala pitagorica):

Nota

Scala naturale

Scala pitagorica

do

1:1

1:1

re

9:8

9:8

mi

5:4

81:64

fa

4:3

4:3

sol

3:2

3:2

la

5:3

27:16

si

15:8

243:128

do

2:1

2:1

Purtroppo, se la coperta è corta e vogliamo coprirci le spalle, finiamo per scoprirci i piedi: se da una parte l’intonazione naturale rende consonanti anche le terze e le seste, dall’altra rompe la semplicità degli intervalli elementari della scala. Infatti, calcolando le distanze tra i gradi contigui, otteniamo il seguente prospetto.

  • do-re: 9:8 (fissata in analogia con la scala pitagorica)

  • re-mi: (5:4) : (9:8) = 10:9

  • mi-fa: (4:3) : (5:4) = 16:15

  • fa-sol: (3:2) : (4:3) = 9:8

  • sol-la: (5:3) : (3:2) = 10:9

  • la-si: (15:8) : (5:3) = 9:8

  • si-do: (2:1) : (15:8) = 16:15

Scopriamo così che non abbiamo più soltanto le due distanze elementari pitagoriche (limma e tono), ma tre: la limma di 256:243 è sostituita da un intervallo (detto da Zarlino “semitono diatonico”) di 16:15 (tra mi e fa, e tra si e do), mentre al posto del tono abbiamo in tre casi (do-re, fa-sol, la-si) un intervallo di 9:8, che il teorico veneziano chiamò “tono maggiore”, e in altri due casi (re-mi, sol-la) un intervallo leggermente più corto, di 10:9, denominato da Zarlino “tono minore”. Un altro difetto della scala naturale è che alcuni intervalli di quinta suonano dissonanti: per esempio, tra re e la Pitagora avrebbe trovato un intervallo consonante di 3:2, ma nella scala zarliniana scopriamo una distanza “stonata”, pari a 40:27.

Ma non si può avere tutto dalla vita. Nel prossimo articolo scopriremo un grande pregio della scala naturale, grazie al quale essa ha potuto imporsi nella pratica musicale e soppiantare definitivamente la scala pitagorica.

Paolo Alessandrini