da XlaTangente n. 35

     

     

 

 

Sonia Kowalewskaja
 

Angelo Guerraggio,
Pietro Nastasi
 

(a cura di)

 

Ricordi d’infanzia.

La vita di Sonia

 

Centro PRISTEM

Università Commerciale Luigi Bocconi, Milano 2012

pp. 266, euro 20.00

 

Ci sono matematici di grande spessore per i quali nessuno si domanda se siano stati belli o brutti,  poveri o ricchi, chiacchieroni o taciturni e, addirittura, se sono stati uomini o donne: tutti facciamo riferimento ai risultati che sono stati ottenuti (il teorema di Abel-Ruffini, le equazioni di Navier Stokes, la congettura di Riemann…) e il nome, la storia di chi li ha ottenuti passano in secondo piano. Se l’obiettivo è quello di arrivare velocemente ad avere gli strumenti per risolvere un problema, non c’è alcuna obiezione, ovviamente: in fin dei conti chi vuole arrivare in fretta da Milano a Bologna sale su un treno ad alta velocità e solo chi ha tempo da regalarsi si avvia sulla via Emilia e si guarda in giro, cercando di capire.

Ma per chi vuol raccontare la matematica come una delle espressioni dell’intelligenza umana, uno dei modi in cui la specie umana è intervenuta e interviene nel “mondo reale” e nella storia, raccontare solo una lista di risultati non è probabilmente la tecnica vincente. Allora ben vengano libri come questo, che di un grande matematico come Sonia Kowalewskaja (1850-1891) raccontano anche, e soprattutto, il lato personale, la cronaca della vita. Non tutti i grandi  matematici, infatti, sono stati tranquilli operatori dell’astratto, fuori dal mondo e dalle sue contraddizioni, come... il volgo ama credere; alcuni, come questa donna, hanno avuto una vita intensa e degna di essere conosciuta.

I due testi che costituiscono il corpo di questo libro – Ricordi d’infanzia e La vita di Sonia – sono molto diversi fra loro: il primo è scritto da Sonia stessa e sembra uno dei tanti racconti di formazione in anni lontani e in ambienti “esotici” che ognuno di noi ha già letto. A renderlo “speciale” c’è soprattutto il nostro desiderio di capire da dove è venuta, in quali esperienze si è costruita, la persona di cui Weierstrass ha scritto: “… ho avuto pochi allievi che possono reggere il confronto con il suo livello intellettuale, la sua energia e il suo entusiasmo per la scienza”, la donna che nel 1888 ha vinto il Premio Bordin dell’Accademia delle Scienze di Parigi con un lavoro fondamentale sulla rotazione di un corpo solido attorno a un punto fisso. Ma c’è anche il desiderio di capire che cosa possiamo fare – innanzitutto da adulti, ma anche, sebbene non necessariamente, da docenti – per rendere meno faticoso il cammino di ragazzi/ragazze che, come Sonia, cercano la loro strada fuori dalla nostra… griglia di riferimento.

Da questo punto di vista, il secondo testo riprodotto in questo libro è inquietante. La vita di Sonia viene raccontata da un’amica svedese, Anne-Charlotte Mittag-Leffler, con la quale Sonia ha condiviso anche l’amore per lo scrivere storie, ma viene narrata con una tale freddezza e una tale mancanza di comprensione di quello che è in gioco, da diventare agghiacciante. Sarà pur vero che le donne sono da sempre strutturate per coprire molti ruoli nello stesso tempo, ma anche solo il pensare di “fare il matematico” nella seconda metà dell’Ottocento partendo da una tenuta della provincia russa, è affare che fa tremare le vene ai polsi. Il riuscirci poi, e ad altissimi livelli, con una figlia e un marito, senza soldi, straniera in diversi Paesi, con il desiderio di partecipare ai grandi sconvolgimenti che stanno cambiando la vita politica e sociale dell’Europa, è opera che lascia stupefatti. E invece Anne-Charlotte non se ne accorge e ci mostra come si possa essere così ciechi, così innamorati della propria filosofia, da non riconoscere l’eccezionalità quando la si incontra. Forse a sua discolpa possiamo pensare che non avesse la competenza necessaria per cogliere il valore dell’opera scientifica dell’amica: non basta essere la sorella di Gosta Mittag Leffler e la moglie di Pasquale del Pezzo per saperne di matematica. Ma la stessa giustificazione non vale per noi quando, invece di sostenere i nostri allievi nei loro tentativi, li convinciamo che i lacci in cui si trovano impastoiati sono regole fondamentali o quando, invece di spingerli a provare da soli, a farci e a farsi domande, dettiamo i modelli di soluzione di un problema perché sono… più puliti, sono… perbene, come... avrebbe dovuto essere la brava figlia di un generale russo, discendente di  Mattia Corvino.

Simonetta Di Sieno