Geometrie e illusioni a ritmo di rock

 

Il 17 giugno è uscito il videoclip della loro nuova canzone The Writing’s on the Wall, uno dei brani dell’album Hungry Ghosts, in uscita a ottobre 2014. Loro sono gli OK Go, una band americana che negli ultimi anni ha fatto parlare di sé per l’originalità e la cura dei videoclip delle sue canzoni, che ha ottenuto visualizzazioni da record sul web e che ha ricevuto una grande quantità di premi e riconoscimenti, tra cui il Grammy del 2007.

Anche questa volta le aspettative non sono state tradite: il canale YouTube su cui il video è disponibile ha registrato un numero di accessi sin da subito in rapida ascesa e arrivato a 8 milioni nei primi 10 giorni!

Ma quali sono le ragioni di un tale successo? Innanzitutto la musica degli OK Go è gradevole e orecchiabile, anche se non eccezionale. Il fattore vincente sta nei videoclip che catalizzano l’attenzione e scatenano quel passaparola che è alla base del fenomeno dei “video virali”.

Ne parliamo qui perché il videoclip di The Writing’s on the Wall è una vera pletora di illusioni ottiche e giochi geometrici che conquistano lo spettatore!

Il filo conduttore del video è una metafora del tema centrale del brano musicale, la crisi in una relazione di coppia dovuta a differenti punti di vista. E, nel video, differenti punti di vista animano giochi, scenari, scritte e molto altro ancora.

Un improbabile arzigogolo metallico montato su un’asta, che all’apparenza non ha alcun particolare significato, rivela la scritta “OK” se osservato da un particolare punto di vista e la scritta “Go” se ruotato (e dunque osservato da un altro): questo è solo l’attacco, ma per 4 minuti non si contano i “quadri” visivi frutto di combinazioni di superfici, oggetti della vita quotidiana, specchi, ribaltamenti, costumi, pennellate di colore e la presenza scenica, oltre che canora, dei componenti della band.

Sulla scena si può curiosamente saltare dentro una serie di sgabelli che sembrano reali perché prospetticamente dipinti sul pavimento. Si può “tradire” la gravità facendo cadere perfettamente in orizzontale della vernice, in una sequenza che lo spettatore di primo acchito non capisce essere semplicemente ruotata di 90°. Si può giocare con gli specchi per vedere un personaggio vestito ora di rosso ora di bianco e nero, ora con una folta barba, ora senza.

La sapiente pittura di porzioni di pavimenti, colonne e pareti fa apparire una tridimensionalità che non c’è, o un piano al posto di una superficie curva, così da ottenere una percezione di profondità inesistente oppure perdere o alterare quella che c’è; quadri, bolli, righe e colori forti e definiti completano l’insieme di soluzioni e stratagemmi efficaci che ricordano i lavori dell’artista svizzero Felice Varini e del fotografo francese Georges Rousse.

Il video si chiude con una grande scritta del titolo del brano che appare leggibile solo da un preciso punto di vista, in cui appaiono fondersi tutti i piani su cui è scomposta perché è parzialmente dipinta sulle pareti, sul pavimento, sugli elementi e sugli oggetti che attrezzano la profondità del capannone che fa da scenario al video. Nel cambiare punto di vista, scomponendo così la scritta, appaiono in scena i collaboratori della band, una cinquantina di persone.

Il video è girato senza soluzione di continuità - one-shot come si dice tecnicamente - con una speciale videocamera manovrata più volte dagli stessi cantanti nel video, per spostare l’inquadratura da uno scenario all’altro. Se da una parte ciò significa aumentare drasticamente la difficoltà di realizzazione (la band ha fatto ben 60 tentativi prima di ottenere il risultato considerato più soddisfacente!), dall’altra è la chiave del successo del video, che coinvolge lo spettatore nell’illusione e gli svela i “trucchi” per ottenerla. Un video girato tutto d’un fiato, senza montaggio in post-produzione, senza effetti speciali o ricostruzioni al computer: un video “intelligente”, costato solo 2 mesi di progettazione, in grado di competere e vincere di gran lunga sulle artificiose e costose soluzioni che le tecnologie dell’informazione ora consentono.

Antonella Testa