Tra matematica e fisica… nel Medioevo(parte VIII)

 

 

Spesso la nascita della scienza moderna si associa all’opera di Galileo Galilei, in particolare ai suoi studi sul moto di caduta dei gravi. In realtà le ricerche galileiane riguardano quella parte dello studio del moto dei corpi, squisitamente matematica, che chiamiamo cinematica, mentre, per vedere una trattazione del moto dei corpi dinamica, cioè che tenga conto delle forze in gioco, dobbiamo rivolgerci ad altri autori, come Newton.

 

Il problema considerato da Galileo s’inserisce in un filone di studi cinematico-matematici del moto dei corpi risalente alla Scolastica. Negli anni in cui fu professore a Padova, Galileo poté studiare i trattati scolastici sul moto dei corpi. Ritroviamo infatti nella sua grande opera sul moto, i Discorsi e dimostrazioni intorno a due nuove scienze, gli strumenti matematici utilizzati a Oxford e Parigi nel Trecento.

 

Il teorema fondamentale per lo studio del moto dei corpi venne enunciato al Merton College di Oxford, ed è pertanto noto come il “teorema del Merton”. Si considerano due grandezze (forme) che possono essere rappresentate graficamente su due direzioni perpendicolari (anticipando gli assi della geometria di Cartesio!) e che sono chiamate intensio (sul moderno asse y) ed extensio (sull’asse x). A Parigi, invece, riprendendo la terminologia usata nelle carte geografiche, le due grandezze sono chiamate latitudo e longitudo.

 

Il teorema del Merton afferma che: ogni forma che varia in modo uniforme equivale a una forma uniforme uguale al valor medio della forma variabile.

Cerchiamo di capirne l’enunciato osservando la figura seguente:

 

 

Consideriamo il triangolo ACG. Mentre la grandezza x varia da sinistra a destra andando dal punto A al punto C, la grandezza y varia dal basso verso l’alto andando dalla quota C (in A) alla quota G (in G). Graficamente queste due variazioni (di x e di y) sono raffigurate dall’ipotenusa AG del triangolo rettangolo in C. La “forma che varia in modo uniforme” pertanto vuol dire che y varia in modo direttamente proporzionale a x. La variazione “in modo uniforme” corrisponde all’aspetto rettilineo del grafico; se la variazione fosse “in modo non uniforme” avremmo altre curve – diverse dalla retta – che uniscono i punti A e G.

 

Consideriamo ora il rettangolo FDCA. L’altezza CD del rettangolo è stata scelta in modo tale che CD sia la metà di CG. In altre parole, il rettangolo è alto la metà del triangolo. In questo caso, mentre la grandezza x varia passando da A a B a C, la grandezza y resta alla stessa quota (i punti F, E, D). La grandezza y è quindi “uniforme” ed è “uguale al valore medio della forma variabile”. Il teorema, enunciato al Merton College, venne dimostrato da Nicola d’Oresme e geometricamente corrisponde al fatto che l’area del triangolo è uguale all’area del rettangolo di metà altezza.

 

Vediamo il significato del teorema del Merton nello studio del moto dei corpi. Come x si consideri il tempo e come y la velocità. L’area del rettangolo è lo spazio percorso da un corpo che si muove dall’istante iniziale A all’istante finale C mentre la sua velocità resta costante (F = E = D). Se la velocità del corpo, invece di rimanere costante, aumenta in modo uniforme, lo spazio percorso è dato dall’area del triangolo e questo spazio equivale quindi a quello percorso da un corpo che si muove dall’istante iniziale A all’istante finale C alla velocità costante (F) uguale alla velocità media tra A e G. (continua…)

 

Leonardo Gariboldi