Apologia di un matematico
Godfrey H. Hardy
Apologia di un matematico
Garzanti, Milano 2002
pp. 108, euro 9.00
Alla tavola dei professori del Christ’s College di Cambridge era una sera come tutte le altre, ma avevamo Hardy ospite a cena. (…) Erano entusiasti di averlo di nuovo tra di loro: lui sì era un vero matematico, dicevano, non come quei Dirac e quei Bohr di cui parlavano sempre i fisici.
Era il più puro dei puri. Eppoi era spregiudicato, eccentrico, radicale, pronto a parlare di tutto. (…) Hardy aveva qualcosa del divo.
Così comincia la prefazione di Apologia di un matematico, un libro che non parla solo di matematica ma che è, innanzitutto, una dichiarazione di amore, passione e amicizia. La prefazione è scritta da un amico fraterno di Hardy, Charles P. Snow: è una mini biografia dell’autore raccontata con grande humour, sensibilità, affetto e piena di aneddoti divertenti che non vale assolutamente la pena di tralasciare, ma che anzi rappresenta un ottimo valore aggiunto al saggio. Oltre al suo viscerale amore per il cricket e alcuni aneddoti sul suo rapporto con Littlewood e Ramanujan, si scoprono, nei racconti di Charles, alcune bizzarrie del carattere di Hardy come la sua totale mancanza di narcisismo: non solo non sopportava essere fotografato, ma addirittura non voleva guardarsi allo specchio, nemmeno in quello per radersi, così, quando entrava negli alberghi, per prima cosa, copriva tutti gli specchi con gli asciugamani.
Hardy a scuola era molto bravo in tutte le materie e nell’Apologia scrive: “non mi ricordo di aver sentito da ragazzo nessuna passione per la matematica, e l’idea che mi ero fatto della carriera del matematico era tutt’altro che nobile. Concepivo la matematica in termini di esami e borse di studio: volevo battere i miei compagni e la matematica mi sembrava il mezzo più efficace.” L’amore per la matematica non fu per Hardy un colpo di fulmine o qualcosa di istintivo, ma piuttosto nacque dal suo grandissimo spirito competitivo. Tuttavia nel tempo esso si trasformò in una viscerale e profondissima passione che traspare lungo tutto il saggio. Nonostante ciò le pagine sono anche intrise di una grande malinconia: il loro autore è ben consapevole che l’Apologia rappresenta anche una sorta di testamento di un artista, di un creativo, diremmo oggi, conscio del fatto che la vecchiaia gli ha portato via la brillante acutezza intellettuale della gioventù. Hardy sostiene che “per un matematico di professione è un’esperienza melanconica mettersi a scrivere sulla matematica. La funzione del matematico è quella di fare qualcosa, di dimostrare nuovi teoremi e non di parlare di ciò che è stato fatto da altri matematici o da lui stesso”.
L’Apologia è un libro da leggere e, anche se talvolta può sembrare pesante e autoreferenziale, in realtà nasconde un profondo e coinvolgente entusiasmo e una chiara visione della bellezza interiore della matematica: “Le forme create dal matematico, come quelle create dal pittore o dal poeta, devono essere belle; le idee, come i colori o le parole, devono legarsi armoniosamente. La bellezza è il requisito fondamentale: al mondo non c'è un posto perenne per la matematica brutta”.
Silvia De Stefano