Tra matematica e fisica… nel Medioevo(parte VII)

 

 

Abbiamo visto come, nella sua analisi del tempo, Nicola d’Oresme abbia preso in considerazione il pensiero di Aristotele che, nella Fisica, definisce il tempo come la misura del cambiamento rispetto al prima e al dopo. Nicola critica Aristotele in quanto secondo la sua dottrina si può trattare il tempo soltanto in presenza di un cambiamento, mentre il nostro intuito ci dice che il tempo scorre anche laddove una realtà fisica non appaia soggetta ad alcun tipo di cambiamento.

 

La definizione di tempo proposta da Nicola – il tempo è la durata successiva delle cose (duratio rerum successiva), indipendentemente dal fatto che le cose siano soggette o meno a un cambiamento – individua il “tempo proprio”.

Il tempo proprio non ha alcun legame con gli strumenti che misurano il tempo (orologi, clessidre, meridiane ecc.). Se, però, ci poniamo il problema di misurarlo, di quantificarlo con un numero, allora dobbiamo considerare il tempo come la misura della durata dell’esistenza delle cose. Il tempo di Aristotele, per Nicola, è invece un “tempo improprio”.

 

Il “tempo improprio” può essere considerato sotto due aspetti:

a) come un numero contato (numerus numeratus), perché una misura di tempo corrisponde a un certo numero di unità di misura che vanno contate. Se dico che sono le ore 17:13, intendo dire che a partire da un istante di riferimento, la mezzanotte, è trascorso un intervallo di tempo nel quale posso contare 17 unità di ora e 13 unità di minuto primo. Così, se dico che oggi è il 25 aprile, intendo dire che a partire da un giorno di riferimento, il primo aprile, è trascorso un intervallo di tempo nel quale posso contare 25 unità di giorno;

b) come un numero che contiamo (numerus quo numeramus), nel senso che la durata di un movimento deve essere riferita al movimento dei corpi celesti. Come abbiamo visto la volta scorsa, i moti dei corpi celesti hanno fornito fin dall’Antichità le unità di misura del tempo: pensiamo evidentemente al giorno (fornito dalla rotazione terrestre), all’anno (fornito dalla rivoluzione terrestre), e – meno stringente – alla settimana (fornita dal ciclo delle fasi lunari), ma anche le ore, i minuti primi e i minuti secondi possono essere ricondotti a durate astronomiche connesse a particolari sistemi di numerazione su base 12 e 60.

 

La differenza tra “tempo proprio” e “tempo improprio” investe in Nicola un aspetto estremamente moderno. Per lui, il “tempo proprio” esiste indipendentemente dall’esistenza di un osservatore pensante; non così il “tempo improprio”, dato che è una misura di tempo che richiede la presenza di un misuratore. Questa posizione richiama il pensiero filosofico moderno (si pensi al “tempo assoluto” di Newton) e contemporaneo, che localizza l’adesso (nunc) nell’osservatore.

 

Per vedere bene il legame tra il “tempo proprio” di Nicola e il “tempo assoluto” di Newton occorre prima prendere in considerazione il concetto di eternità.

Constatiamo il fatto che senza un cambiamento non siamo in grado di assegnare una successione di istanti temporali. In tal caso, ciò che non cambia deve essere eterno (altrimenti ci sarebbe un cambiamento al suo inizio o alla sua fine).

 

Nicola afferma così che:

a) con il movimento (cambiamento) la durata successiva delle cose (rerum duratio successiva) è il tempo;

b) senza movimento la durata delle cose “tutta insieme” (duratio rerum tota simul) è l’eternità.

L’eternità viene considerata “tutta insieme”, non ha un inizio né una fine, e non contiene al suo interno una successione di istanti temporali dal prima al dopo. Nell’eternità non esistono né il passato, né il presente, né il futuro.

 

Possiamo ora confrontare il “tempo proprio” di Nicola con il “tempo assoluto” di Newton:

a) Nicola - il tempo proprio è la durata successiva delle cose, indipendentemente dal fatto che le cose siano soggette o meno a un cambiamento;

b) Newton - il tempo assoluto, vero e matematico, di per sé e dalla sua propria natura, fluisce ugualmente senza alcuna relazione a qualsiasi cosa esterna ed è chiamato con un altro nome: “durata”.

 

Il concetto comune è quello di durata, e questo porterebbe a identificare le due definizioni. Un’analisi approfondita mostra però che, mentre Newton parla del tempo identificandolo sinonimicamente con la durata, Nicola considera il tempo come la durata delle cose cioè richiede l’esistenza di enti materiali. Liberando il tempo dall’esistenza delle cose, Newton può assegnare una realtà fisica al tempo, indipendente da tutto il resto. Abbiamo invece visto come per Nicola il tempo non possa essere definito da un nome ma solo da avverbi (prima, dopo ecc.).

 

Questa differenza radicale nella concezione di tempo investe anche l’eternità. Sia per Nicola, sia per Newton l’eternità temporale è collegata all’eternità di Dio, che per Nicola, come ogni eternità, non può avere in sé un passato né un futuro; pertanto l’eternità di Dio viene a identificarsi con Dio stesso. Newton, invece, può considerare l’eternità come il flusso infinito del tempo dal passato al futuro. L’eternità di Dio ha quindi un passato e un futuro e l’eternità di Dio non può essere identificata con Dio stesso.

[continua…]

 

Leonardo Gariboldi